La denominazione di origine protetta (DOP) è un marchio europeo che viene attribuito a quegli alimenti le cui caratteristiche qualitative sono peculiari del territorio in cui sono prodotti e riguarda quindi i fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali) e i fattori umani (tecniche di produzione tramandate, maestria produttiva). Tutte queste peculiarità combinate consentono di ottenere un prodotto unico e inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva. Molto simile è anche l'indicazione geografica protetta (IGP), che certifica che le specifiche qualità e la reputazione di un prodotto siano strettamente dipendenti dalle abilità di coltivazione e trasformazione di una specifica area geografica.
Altro prodotto famosissimo e unico è il pistacchio di Bronte DOP, anche denominato "l’oro verde". La pianta di pistacchio fu introdotta in Sicilia dagli arabi e la sua capacità di resistere a condizioni ambientali avverse le ha permesso di insediarsi nei territori vulcanici che caratterizzano l’area di Bronte e dintorni. Grazie al suo peculiare aroma e è da sempre elemento principe della pasticceria siciliana per paste, gelati e creme, e della cucina più in generale. Rimanendo in tema dolci, non possiamo non citare il cioccolato modicano IGP, così particolare e granuloso grazie alla peculiare tecnica di lavorazione delle fave di cacao. Se vuoi saperne di più, consigliamo di leggere l'interessante articolo del nostro Magazine Visitare Modica: il Barocco Siciliano e il cioccolato.
Come non citare poi il pomodoro di Pachino IGP? Le sue caratteristiche peculiari (il sapore e la sapidità della polpa, la sua consistenza, il colore intenso, la croccantezza e la lucentezza della buccia) lo hanno reso ben riconoscibile rispetto ad altri prodotti simili e ne hanno decretato un successo straordinario in Italia e all’estero. Studi recenti tra l’altro hanno accertato che il pomodoro di Pachino, sicuramente grazie al territorio di produzione, ha un contenuto di antiossidanti e di vitamine in misura nettamente superiore ad altri pomodori analoghi ed è quindi consigliato per il suo particolare valore salutistico e nutritivo. Ultima, ma non meno importante, è anche la sua capacità di resistere per molti giorni dopo la raccolta e quindi la possibilità di giungere inalterato sui mercati europei, caratteristica questa che ha contribuito non poco al suo successo internazionale.
Chiudiamo la nostra personalissima top five menzionando anche il caciocavallo ragusano DOP, un formaggio semiduro a pasta filata dal sapore aromatico e leggermente piccante, uno dei più antichi prodotti in Sicilia. Il caciocavallo è così chiamato perché era messo ad asciugare a cavallo di un'asse: il ragusano DOP però si distingue dagli altri anche in questo, infatti non ha la caratteristica forma arrotondata ma si presenta come un parallelepipedo di colore giallo.
Arancino o arancina? Sul dibattito è intervenuta addirittura l’Accademia della Crusca, ma neppure questa alta istituzione è riuscita a dare una risposta definitiva alla questione. Al di là del problema linguistico, gli arancini sono, senza ombra di dubbio, la preparazione tipica siciliana per eccellenza. Tante sono le varianti, sia nella forma che nel ripieno, ma generalmente si tratta di un timballo di riso impanato e fritto ripieno di ragù di carne, oppure piselli e caciocavallo, o ancora dadini di prosciutto cotto e mozzarella. Negli ultimi anni hanno preso piede anche quelli con ripieni alternativi, come ad esempio al nero di seppia, alla norma, con funghi e salsiccia. Insomma, ce ne è veramente per tutti i gusti!
Pane e panelle è insieme agli arancini un altro must dello street food siciliano. Gli ingredienti sono davvero semplici: si tratta di un panino farcito con farinata di ceci fritta e servito con qualche goccia di limone come condimento. La storia di questo piatto parte da lontano. Gli arabi macinavano i ceci per ricavarne una farina da mescolare all’acqua, il cui impasto si cuoceva fino a che non diventava una sorta di polenta e poi si lasciava raffreddare in contenitori cilindrici. A questo, i "panellari", un’autentica istituzione in Sicilia perché tramandano con orgoglio questa ricetta vecchia di mille anni, hanno aggiunto praticamente solo sale e pepe, e ovviamente la frittura.
Per concludere non possiamo non citare il pane cunzato, ovvero il pane condito con abbondante olio extravergine di oliva, pomodori, formaggio primo sale siciliano, origano e acciughe sottolio a cui spesso si sostituiscono o aggiungono altri prodotti tipici come capperi, melanzane, ricotta salata. Più “impegnativo” è senza dubbio il pani câ meusa, una specialità palermitana. Si tratta anche in questo caso di un panino morbido, spolverato di sesamo, imbottito con pezzetti di milza e polmone di vitello precedentemente bolliti o cotti al vapore interi, poi tagliati a fettine sottili e soffritti a lungo nella sugna. Una proposta per chi ama gusti un pò forti ma buonissimi.
Anche in questo caso l’elenco sarebbe infinito, ti suggeriamo quindi solo alcuni primi piatti tra i tanti che dovresti aver assaggiato prima di rientrare dalla tua vacanza siciliana. Iniziamo con la pasta alla norma, un classico della zona del catanese. Solitamente si tratta di maccheroni conditi con sugo di pomodoro fresco, melanzane fritte, foglie di basilico fresco e una abbondante grattugiata di ricotta salata a fine cottura. Un vero è proprio piatto mediterraneo che venne realizzata in omaggio alla Norma, celebre opera del compositore Vincenzo Bellini.
A base di pesce invece è la famosa pasta alle sarde. Secondo la tradizione il condimento fu inventato da un cuoco arabo che doveva sfamare le numerose truppe stanche e affamate. Trovandosi in condizioni disagiate, dovette fare appello alla sua inventiva ed elaborare un piatto, rimasto poi nella storia, con gli ingredienti che la natura di quel luogo gli offriva; unì così le sarde, i pinoli e il finocchietto selvatico fresco per smorzare un po’ il sapore intenso del pesce e donare freschezza al piatto.
Nata come piatto unico, oggi è piuttosto un contorno della cucina siciliana. La celebre Caponata affonda le proprie radici nella tradizione povera, basata quindi su ingredienti tipici come le melanzane, i pomodori e il basilico, protagonisti indiscussi di questa leccornia. Il risultato è un vero e proprio mix di profumi, colori e sapori che richiama le suggestioni di questa incredibile terra. Ovviamente la ricetta si modifica di città in città e addirittura di famiglia in famiglia. Ognuno ha la propria versione: chi aggiunge ortaggi, chi la impreziosisce con uva passa e pinoli, ma tutte le ricette convergono sull’uso del condimento agrodolce che esalta le verdure.
Diverse ed eterogenee sono le ipotesi sulla nascita di questo dolce simbolo per eccellenza della Sicilia. La prima è legata agli arabi che pensarono di mescolare la ricotta con lo zucchero, creando questa crema incredibile che è la base della pasticceria siciliana. La più accreditata però sembrerebbe essere quella che ad inventarlo, modificandone la vecchia ricetta araba, siano state delle monache di clausura per fare uno scherzo di carnevale. Le suore infatti avrebbero riempito una vasca di crema di ricotta e sostituito i classici rubinetti con la scorza del cannolo. Il termine cannolo che in dialetto siciliano indica “rubinetto” sembrerebbe supportare questa tesi. Oggi esistono svariate versioni di questo buonissimo dolce, ma gli ingredienti principali rimangono la scorza croccante e la crema di ricotta.
Anche la cassata siciliana nasce dagli Arabi. Il termine arabo “quasat” significa scodella rotonda, bacinella nella quale viene versato il dolce a base di ricotta zuccherata, pan di Spagna, pasta reale, frutta candita e glassa di zucchero. Gli Arabi insegnarono successivamente la ricetta alle suore dei conventi che legarono questo dolce alla Pasqua. Un proverbio siciliano cita “Tintu è cu un mancia a cassata a matina ri Pasqua” ovvero che chi non mangia la cassata a Pasqua, non è una persona buona! Questo detto fa proprio riferimento alla tradizione secondo cui le monache siciliane preparavano il dolce soltanto per il periodo pasquale. Addirittura in un documento ufficiale del primo sinodo dei vescovi siciliani a Mazara del Vallo del 1575 si afferma che la cassata è un dolce irrinunciabile durante le festività e sarebbe un “peccato” gravissimo non mangiarlo. Come non essere ancora d’accordo?
La leggenda vuole che la frutta martorana sia stata inventata proprio dalle monache a causa di una visita inaspettata nel mese di ottobre del Re, incuriosito dalle bellezze del giardino delle benedettine di cui tanto si parlava nel Regno. Questo gettò nello sconforto la madre superiora perché in autunno gli alberi e i rosai erano spogli, senza fiori e senza frutti. Fu allora la suora cuciniera a trovare una soluzione: realizzare con l’impasto di mandorle e miele dei "fruttini" dipinti talmente bene da sembrare veri e appenderli tra i rami degli alberi. Arrivò il giorno tanto atteso e il Re si complimentò con le monache, uniche in tutta la città ad avere alberi carichi di frutti maturi. Staccò quindi una grossa arancia per assaggiarla e solo allora si rese conto che non era un frutto. Stupito e divertito, fu prontamente “adulato” dalla scaltra superiora, la quale affermò che i frutti di mandorla e miele erano stati creati in suo onore. La risposta del Gran Cancelliere, con l’acquolina in bocca, fu «Sono dolci degni di un Re, potremmo chiamarli pasta reale!». Il Re promise di tornare in primavera per ammirare il giardino realmente fiorito ma, conquistato dalla bontà dei fruttini, prima di andare via se ne fece preparare un fagottino.
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20.10.2020
05.11.2021
12.11.2021